Pino Daniele non è stato solo un musicista, ma un narratore dell’anima di Napoli, un raffinato cantastorie capace di trasformare in note la complessità di una città unica al mondo. A dieci anni dalla sua scomparsa, il documentario “Nero a Metà”, diretto da Marco Spagnoli e Stefano Senardi, celebra il percorso umano e artistico di un uomo che ha reso la musica mediterranea un linguaggio universale.
In sala per un evento speciale dal 4 al 6 gennaio, il film si presenta come una finestra sulla genesi del terzo album di Pino Daniele, “Nero a metà”, e sulla Napoli che ha ispirato la sua straordinaria carriera. L’opera non si limita a raccontare un disco, ma svela l’intreccio profondo tra l’uomo, la sua città e una musica capace di abbattere ogni confine.
Un viaggio nella Napoli di Pino Daniele
L’apertura del documentario è un omaggio potente: la voce di Pino che canta e le immagini della sua Napoli. Da subito si percepisce l’inscindibile legame tra l’artista e la città, un rapporto viscerale che ha nutrito la sua creatività. Come sottolinea Carmine Aymone, giornalista e profondo conoscitore della scena musicale napoletana, “Pino è Napoli e Napoli è Pino”.
La narrazione, guidata dalla voce di Stefano Senardi, si sviluppa come un viaggio personale nella città partenopea. Senardi, consulente musicale e produttore, torna a Napoli per la prima volta dopo la morte dell’artista e ripercorre i passi che hanno portato alla creazione di “Nero a Metà”. L’indagine non è solo musicale, ma culturale: emerge un periodo storico in cui Napoli è stata un vero crocevia di influenze artistiche, un terreno fertile per sperimentazioni che avrebbero segnato intere generazioni.
“Nero a metà”: l’equilibrio perfetto
Il documentario racconta l’evoluzione di Pino Daniele, dalle prime esperienze con gruppi locali alla decisione di intraprendere una carriera solista. Dopo “Terra mia” e “Pino Daniele”, “Nero a Metà” rappresenta la consacrazione definitiva: un album che fonde sonorità blues, tradizione napoletana e influenze jazz con una naturalezza straordinaria. Con 300.000 copie vendute in pochi mesi, il disco ha segnato un punto di svolta nella musica italiana, aprendo la strada a un nuovo modo di interpretare la mediterraneità.
Attraverso le testimonianze di collaboratori storici come James Senese, Tony Esposito e Tullio De Piscopo, il documentario fa emergere l’unicità di Pino come musicista e leader. Non era solo un talento straordinario, ma anche un catalizzatore di energie creative, capace di valorizzare i suoi compagni di viaggio e creare un suono collettivo senza eguali.
L’uomo dietro il mito
Ciò che rende “Nero a Metà” particolarmente emozionante è la capacità di andare oltre l’icona per raccontare l’uomo. Attraverso interviste e aneddoti, emerge il ritratto di una persona profondamente legata alle sue radici, un artista che traeva forza dalle sue fragilità e le trasformava in musica. Toni Cercola, uno dei percussionisti di Pino, ricorda con affetto i momenti di vita vissuta insieme, svelando un lato intimo e autentico del cantautore.
Le immagini e le testimonianze (tra tutte, meritano un riferimento particolare le riprese dal concerto del 19 settembre 1981 a Piazza Plebiscito a Napoli, con ben 200.000 persone radunate a sentire la sua musica l’anno dopo il terribile Terremoto dell’Irpinia) fanno rivivere l’anima di un uomo che ha saputo raccontare la sua città con la stessa intensità di altri giganti come Massimo Troisi e Diego Armando Maradona. Come loro, Pino Daniele ha intrecciato il suo destino con quello di Napoli, rendendosi immortale attraverso la sua arte.
Una lezione per il futuro
“Nero a Metà” non è solo un documentario, ma una lezione di musica mediterranea, un invito a scoprire e riscoprire un repertorio che ancora oggi riesce a parlare al cuore di chi lo ascolta. È un tributo alla forza creativa di un uomo che ha saputo trasformare le sue radici in un messaggio universale, capace di attraversare il tempo e lo spazio.
Guardando il documentario, si comprende che il vero successo di Pino Daniele non è stato solo vendere dischi o riempire piazze, ma dare una voce nuova a Napoli e al Mediterraneo, dimostrando che la musica può essere uno strumento di dialogo e identità. Una lezione che rimane viva, proprio come le sue canzoni.